Il primo lockdown impostoci dalla pandemia ha fatto scomparire, come per incanto, la velocità. Mai avremmo pensato di veder tornare limpide le acque dei fiumi più inquinati. Le città, spogliate delle auto, si sono rivelate più belle nella loro nudità piuttosto che nella schizofrenia di cui le vestivamo. La struggente nostalgia dei luoghi della lentezza, dal parco urbano alla lunga pedalata, ci dà lo slancio per dire che la lentezza è un diritto per tutti e pure un bene comune. Tenerla in fondo all’agenda delle politiche pubbliche e nascosta all’immaginario collettivo sono errori gravi del nostro progetto di città e di territorio. Ciò non vuol dire smettere di “fare” velocità, ma solo smettere di pensarla come opzione unica. Per fare spazio alla lentezza non ci si può affidare al caso, ma bisogna desiderarla, pianificarla, domandarla. La lentezza è progetto di territorio: una grande possibilità per un Paese che può scoprire che si cresce proprio rallentando.

ESSAY: PROGETTARE LA LENTEZZA
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